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L’Italia, dall’inverno demografico alla vicina primavera di ricrescita

La crisi demografica che da ormai 10 anni sta travolgendo l’Italia è un problema che oggi sta sollecitando il dibattito tra più parti riguardo cosa sia possibile mettere in campo per trovare nuove direzioni per invertire la rotta.

Lo scorso anno, il 14 maggio 2021, a Roma sono stati organizzati i primi Stati Generali della Natalità su iniziativa del Forum delle Associazioni Familiari. È stata una giornata importante in cui si sono incontrate Istituzioni, Associazioni, Imprese, Media e Sistema Bancario con l’obiettivo di fare una riflessione comune sul problema sempre più grave del calo delle nascite e della progressiva perdita di speranza e fiducia, soprattutto tra i giovani.

Erano presenti anche papa Francesco e Mario Draghi.

In questa occasione il prof. Blangiardo – professore emerito di demografia e dal 2019 alla guida dell’Istituto Nazionale di Statistica – ha tenuto la relazione di apertura dei lavori.

I dati ISTAT da lui commentati purtroppo raccontano che da ben 12 anni in Italia continua la riduzione delle nascite, con l’anno cruciale del 2013 in cui i decessi hanno iniziato a superare nel saldo i nati.

Nel 2020, rispetto solo 10 anni prima, sono nati circa il 30% di bambini in meno, solo 404.000 in tutto: è ciò che si definisce come inverno demografico. E nel 2021 i nati in Italia per la prima volta scendono sotto la soglia dei 400mila: il numero più basso di nascite rispetto l’Europa.

E il futuro? Dai primi dati che emergono il percorso è pessimistico, se resta confermato questo trend prevale l’ipotesi che nel 2050 arriveremo a 350 mila nati, in una paese di 60 milioni di abitanti.  

Ecco le stime:

  • Oggi ci sono 618.000 abitanti over 90 anni, tra 30 anni supereranno il milione. Oggi in Italia il rapporto medio tra bisnonni ultraottantenni e nipoti (0 – 9 anni) è 1:1 ma già in oltre 4.000 comuni ci sono più bisnonni che nipoti, in 1.000 comuni addirittura il doppio;
  • Mercato lavoro e pensioni: da 26 pensionati (da 65 anni in su) per 100 potenziali lavoratori (in età 20 – 64 anni) nei primi anni ‘90 si è passati a 39 negli ultimi 5 anni e saranno fino a 60 stimati tra 20 anni;
  • Popolazione: dal 2014 al 2019, prima del covid, l’Italia ha perso 705.000 residenti, solo nel 2020 quasi 400.000 unità, l’equivalente della città di Firenze. Cosa significa questo? Meno popolazione significa meno consumi, meno produzione, meno PIL.

Anche la nostra provincia di Treviso sta impattando con il calo demografico. Gli effetti sono evidenti nella scuola. È di questi giorni la notizia che denuncia “Un migliaio di iscritti in meno alle prime elementari statali della Marca rispetto al 2019. Una contrazione di 725 “remigini” (paritarie incluse) nel solo raffronto con l’anno scorso, una caduta inesorabile che nel parallelo 2020-2021 evidenziava addirittura la diminuzione di 871 alunni. L’inverno demografico continua a picchiare duro a scuola, culle vuote significa banchi vuoti”. (https://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2022/02/10/news/elementari-trevigiane).

Gli equilibri quindi sono molto delicati. Oltretutto, in un trend di costante decrescita che ha caratterizzato l’Italia rispetto la bassa natalità tra il 2013 e il 2019, si osserva che altri Paesi europei sono riusciti invece a recuperare terreno.

Un dato significativo da cui partire è che se è vero da un lato che il numero medio di figli per donna in Italia è diminuito (nel 2020 a 1,24 cioè -0,12) dall’altro le coppie esplicitano sempre di più il desiderio di avere più figli, o almeno 2.

Quindi, cosa si può e si deve fare per assecondare questo naturale desiderio di maternità e di paternità? Quali interventi sono necessari a partire da queste consapevolezze?

Papa Francesco nel suo intervento agli Stati Generali della Natalità lo mette come premessa: “se si vuole un futuro occorre mettere le famiglie al centro”, perchè una Italia senza bambini non ha futuro.

Blangiardo nel suo intervento conclude sottolineando che «Bisogna rivitalizzare la produzione di capitale umano. Per la natalità le cause del calo sono note: non ci sono strutture adeguate, manca un ambiente favorevole per chi fa figli. Anche questo è noto, e lo era anche in molti paesi europei, come Germania ma anche nazioni dell’ex est, che hanno attuato politiche che hanno invertito la tendenza. Gli interventi non devono avere natura assistenziale, ma demografica. E in questo senso l’Assegno Unico Universale va nella direzione giusta, e non va ridimensionato».

L’Assegno Unico Universale rappresenta, dunque, una prima risposta nell’ambito delle politiche familiari. L’entrata in vigore decorre dal 1° marzo 2022, ma già a partire dal 1° gennaio 2022 è possibile farne domanda. È una misura destinata a tutte le famiglie, che varrà dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del 21esimo anno di ciascun figlio fiscalmente a carico.

Solo con il tempo, nei prossimi anni, si potrà verificarne la sua efficacia. Certamente va riconosciuto oggi che è effettivamente tempo di politiche familiari integrate e razionalizzate e probabilmente stiamo assistendo a un grande cambiamento perché l’Assegno Unico Universale appunto razionalizza e incrementa tutte le misure disperse in favore delle famiglie, ha un impatto significativo per tutte le famiglie, oltre l’ottica strettamente assistenziale ma nella volontà di valorizzazione e promozione.

Questo intervento di politica familiare si incastona nel contesto del PNRR che prevede di incrementare notevolmente le risorse finanziarie per investire in servizi: asili nido e scuole dell’infanzia, il tempio pieno con la previsione di mense e palestre, e più in generale agevolazioni per le case a studenti e giovani coppie, politiche attive per il lavoro per incentivare le assunzioni di giovani e donne…un investimento di 20 miliardi di euro, cifre mai viste prima. È una trasformazione epocale, strutturale.

In attesa, fiduciosi, di vedere lo sviluppo di queste proposte, vale la pena vedere cosa esiste già nel panorama italiano delle politiche a favore della conciliazione famiglia e lavoro, affinché una donna non debba più essere messa di fronte alla scelta tra famiglia e lavoro ma, anzi, possa incontrare un ambiente lavorativo inclusivo e aperto a promuovere e sostenere la genitorialità.

Un esempio interessante è rappresentato dal modello FAMILY AUDIT proposto dalla Provincia autonoma di Trento e che coinvolge fino ad oggi circa 380 enti ed aziende, non solo in Trentino ma anche su tutto il territorio nazionale, compreso il Veneto (https://www.trentinofamiglia.it/Certificazioni-e-reti/Family-Audit/Certificazione-Family-Audit).

Il Family Audit è uno strumento di certificazione che qualifica una Organizzazione come attenta alle esigenze di Conciliazione Famiglia – Lavoro dei propri dipendenti, capace di mettere in campo iniziative che concretamente favoriscono le pari opportunità e l’equilibrata ripartizione dei carichi di cura tra uomini e donne.

In attesa di vedere attuati i progetti previsti dal PNRR, già oggi qualsiasi organizzazione, di qualsiasi dimensione, identità giuridica e ambito di attività, ha a disposizione uno strumento già testato nella sua efficacia per introdurre nell’ambito delle politiche del personale iniziative a beneficio dei lavoratori e delle lavoratrici e delle famiglie, con una ricaduta positiva sul territorio in cui si trovano, e contribuire concretamente a invertire la direzione rispetto al calo demografico.

Approfondiremo questo modello nei prossimi articoli, nel frattempo la nostra cooperativa è a disposizione per informazioni.